martedì 15 gennaio 2019

Verso quale Europa? Fuge quaerere

Quando parliamo di Europa pensiamo subito all’Unione Europea. La seconda scelta cade sul Consiglio d’Europa. In realtà l’Europa esiste da ben prima di questi ordinamenti, è un prius.

Affermare che dopo la Seconda guerra mondiale non ci sono state guerre fra paesi lato sensu europei, grazie all’istituzione delle Comunità antesignane dell’Unione, è storicamente falso. L’immagine della ragazza di Sarajevo che corre per fuggire dall’artiglieria delle truppe serbo-bosniache, opera di Mario Boccia (1993), ha fatto il giro del mondo. Dagli anni ‘60 ai ‘90 in Irlanda del Nord sono morte migliaia di persone in una insurrezione per la quale il governo inglese ha adottato delle misure antiterroristiche applicate anche in occasione dell’attentato di matrice islamica del 2005 nella metropolitana di Londra. Nondimeno, gli europei hanno riconosciuto il nocumento arrecato al Vecchio Continente dai due conflitti mondiali, ovvero la perdita della posizione di supremazia vantata da secoli.
“Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”

Questo, il quesito posto agli italiani in occasione del referendum consultivo del 1989. 
La Costituzione esclude la possibilità di sottoporre una legge di autorizzazione alla ratifica di un trattato internazionale a referendum abrogativo, né consente altro tipo di referendum oltre quello confermativo, momento eventuale del procedimento di revisione costituzionale. 
Il Parlamento non temeva di rimettere agli elettori una decisione determinante per la storia costituzionale del paese, e introdusse il nuovo istituto con legge costituzionale.
L’affluenza sfiorò l’81%, l’88% dei votanti si espresse a favore. Se oggi venisse riproposto, la partecipazione ed il risultato sarebbero diversi. Da una grande visione sul futuro, dalla speranza in istituzioni migliori, più vicine al modello federale statunitense, all’insegna dell’utopia, si è passati alla distopia, ad un presente senza grandi ideali.

A partire dal Trattato di Maastricht del 1992 si sono compiuti molti passi in direzione del processo d’integrazione europea. Le condizioni di convergenza derivanti dalla scelta di realizzare un’unione monetaria (pur in assenza di un’area monetaria ottimale) hanno corroborato la diffidenza della communis opinio nei confronti dell’Unione, che è sempre stata percepita come un’istituzione tecnocratica e contraddistinta da un deficit democratico; Il malcontento popolare si è manifestato con i referendum di Francia e Paesi Bassi (con maggioranze del 55% e 63%) che impedirono la ratifica del trattato per l’istituzione di una costituzione europea (il Regno Unito la rinviò sine die). Alcuni studiosi, seguendo le suggestioni di Jürgen Habermas, affermavano che una “costituzione senza popolo” non solo era concepibile, ma avrebbe costruito ab imis l’identità collettiva degli europei.  Alla luce della “Brexit”, è lecito dubitare del percorso intrapreso. Non si possono denigrare le scelte degli elettori operando una costante reductio ad Hitlerum ogniqualvolta i risultati delle urne non collimano con i progetti integrazionisti.

Ovunque proliferano partiti euroscettici. Le premesse sono le stesse: si chiede una nuova politica economica, il controllo dei fenomeni migratori, misure che garantiscano la sicurezza nazionale. 
I confini dell’Europa sono sempre stati luoghi di scambio culturale e relazione tra popoli. Il contatto è avvenuto prevalentemente per mezzo di guerre, invasioni, reciproche offese. La diversità ha una forza allo stesso tempo attrattiva e repulsiva. 
Se l’obiettivo è proseguire l’esperienza dell’Unione, è necessario superare l’ottica degli interessi nazionali, che rende gli Stati incapaci di avere uno sguardo lungimirante, e dirigersi verso un autentico sincretismo culturale e politico, nel rispetto delle coscienze nazionali. L’emergenza dei migranti, il terrorismo e la crisi economica sono fenomeni che richiedono una risposta a livello sovranazionale.
Nessuno è chiamato a scegliere tra l'essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo” (Aldo Moro).

I Paesi si stanno arrendendo alla logica del muro: a Calais, in Ungheria, ad Idomeni. 
Nel 2002 il governo Sharon ha fatto costruire una barriera di sicurezza per escludere i palestinesi da Israele: che messaggio ha trasmesso ai due popoli? Uno stereotipo riduce l’Europa (rectius: l’U.E.) ad antiamericanismo, ad un soggetto politico che non riesce a darsi contenuti positivi, ma che si può definire solo negativamente, creando un nemico esterno e proiettando su di esso le ostilità. Insomma, un’unione che si fonda sulla logica della contrapposizione e dell’esclusione. 
L’antieuropeismo poggia sulla crisi istituzionale europea, divenendone a propria volta causa: vi è un concreto rischio di disintegrazione. La reazione delle istituzioni europee alle spinte centrifughe non è adeguata, e rischia di intervenire compiutamente quando sarà troppo tardi.

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