Quando parliamo di Europa pensiamo subito all’Unione Europea. La seconda
scelta cade sul Consiglio d’Europa. In realtà l’Europa esiste da ben prima di
questi ordinamenti, è un prius.
Affermare che dopo la Seconda guerra mondiale non ci sono state guerre fra
paesi lato sensu europei, grazie
all’istituzione delle Comunità antesignane dell’Unione, è storicamente falso.
L’immagine della ragazza di Sarajevo che corre per fuggire dall’artiglieria
delle truppe serbo-bosniache, opera di Mario Boccia (1993), ha fatto il giro
del mondo. Dagli anni ‘60 ai ‘90 in Irlanda del Nord sono morte migliaia di
persone in una insurrezione per la quale il governo inglese ha adottato delle
misure antiterroristiche applicate anche in occasione dell’attentato di matrice
islamica del 2005 nella metropolitana di Londra. Nondimeno, gli europei hanno
riconosciuto il nocumento arrecato al Vecchio Continente dai due conflitti
mondiali, ovvero la perdita della posizione di supremazia vantata da secoli.
“Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione
delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un
Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo
stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto
di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica
degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”
Questo, il quesito posto agli italiani in occasione del referendum
consultivo del 1989.
La Costituzione esclude la possibilità di sottoporre una
legge di autorizzazione alla ratifica di un trattato internazionale a
referendum abrogativo, né consente altro tipo di referendum oltre quello
confermativo, momento eventuale del procedimento di revisione costituzionale.
Il
Parlamento non temeva di rimettere agli elettori una decisione determinante per
la storia costituzionale del paese, e introdusse il nuovo istituto con legge
costituzionale.
L’affluenza sfiorò l’81%, l’88% dei votanti si espresse a
favore. Se oggi venisse riproposto, la partecipazione ed il risultato sarebbero
diversi. Da una grande visione sul futuro, dalla speranza in istituzioni
migliori, più vicine al modello federale statunitense, all’insegna dell’utopia,
si è passati alla distopia, ad un presente senza grandi ideali.
A partire dal Trattato di Maastricht del 1992 si sono compiuti molti passi
in direzione del processo d’integrazione europea. Le condizioni di convergenza
derivanti dalla scelta di realizzare un’unione monetaria (pur in assenza di
un’area monetaria ottimale) hanno corroborato la diffidenza della communis opinio nei confronti
dell’Unione, che è sempre stata percepita come un’istituzione tecnocratica e
contraddistinta da un deficit democratico; Il malcontento popolare si è
manifestato con i referendum di Francia e Paesi Bassi (con maggioranze del 55%
e 63%) che impedirono la ratifica del trattato per l’istituzione di una
costituzione europea (il Regno Unito la rinviò sine die). Alcuni studiosi, seguendo le suggestioni di Jürgen Habermas, affermavano che una
“costituzione senza popolo” non solo era concepibile, ma avrebbe costruito ab imis l’identità collettiva degli
europei. Alla luce della “Brexit”, è
lecito dubitare del percorso intrapreso. Non si possono denigrare le scelte
degli elettori operando una costante reductio
ad Hitlerum ogniqualvolta i risultati delle urne non collimano con i
progetti integrazionisti.
Ovunque proliferano partiti euroscettici. Le premesse sono le stesse: si
chiede una nuova politica economica, il controllo dei fenomeni migratori,
misure che garantiscano la sicurezza nazionale.
I confini dell’Europa
sono sempre stati luoghi di scambio culturale e relazione tra popoli. Il
contatto è avvenuto prevalentemente per mezzo di guerre, invasioni, reciproche
offese. La diversità ha una forza allo stesso tempo attrattiva e repulsiva.
Se
l’obiettivo è proseguire l’esperienza dell’Unione, è necessario superare
l’ottica degli interessi nazionali, che rende gli Stati incapaci di avere uno
sguardo lungimirante, e dirigersi verso un autentico sincretismo culturale e
politico, nel rispetto delle coscienze nazionali. L’emergenza dei migranti, il
terrorismo e la crisi economica sono fenomeni che richiedono una risposta a
livello sovranazionale.
“Nessuno è
chiamato a scegliere tra l'essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché
l'Europa intera è nel Mediterraneo” (Aldo Moro).
I Paesi si stanno
arrendendo alla logica del muro: a Calais, in Ungheria, ad Idomeni.
Nel 2002 il
governo Sharon ha fatto costruire una barriera di sicurezza per escludere i
palestinesi da Israele: che messaggio ha trasmesso ai due popoli? Uno
stereotipo riduce l’Europa (rectius: l’U.E.) ad antiamericanismo, ad un soggetto politico che non riesce a darsi
contenuti positivi, ma che si può definire solo negativamente, creando un
nemico esterno e proiettando su di esso le ostilità. Insomma, un’unione che si
fonda sulla logica della contrapposizione e dell’esclusione.
L’antieuropeismo
poggia sulla crisi istituzionale europea, divenendone a propria volta causa: vi
è un concreto rischio di disintegrazione. La reazione delle istituzioni europee
alle spinte centrifughe non è adeguata, e rischia di intervenire compiutamente
quando sarà troppo tardi.
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