lunedì 25 dicembre 2017

Sergio Corazzini: la poesia crepuscolare italiana da riscoprire

Siamo all'inizio del Novecento, nei primissimi anni. Nel Bel Paese imperversa il dannunzianesimo, ma un gruppo di giovani poeti, tra cui Sergio Corazzini, segna un nuovo percorso artistico: il crepuscolarismo. Corazzini è un poeta destinato, erede in questo senso della tradizione tragica greca: fanciullo triste, come si definisce, costretto dalle circostanze a marcire nella povertà e a trascorrere l'adolescenza nella malattia, a soli ventuno anni muore di tisi. Nel suo stile prosastico e semplice affronta temi ricorrenti della corrente crepuscolare: la morte, il suicidio, la malattia, una vita monotona e piena di sofferenza. Nelle poche opere pubblicate dal 1904 al 1906 con la Tipografia Operaia Romana e in una postuma curata dagli amici, il giovane e tormentato poeta manifesta la sua rinuncia alla vita, sperimentando anche simbolismo e decadentismo. Non avrebbe potuto neanche immaginare che quelle poesie lo avrebbero consacrato come miglior poeta crepuscolare, ammirato, tra gli altri, da Antonia Pozzi.

Estratto paradigmatico della sua poetica dalla poesia Follie (Dolcezze, 1904):
per me non v’è più sole,
per me non v’è più cielo.

 Io sono come avvolto         5
in un sogno, in un sogno
triste; io non agogno
più nulla; io non ascolto

più nulla. Il cuore trema
a volte, forte: io penso         10
che sia la fine, io penso
l’unione suprema.