lunedì 21 settembre 2020

Il mio ricordo di Italo Bolano


Uno dei miei primi incontri con Italo Bolano è legato ad una mostra che tenne alla Telemaco Signorini nel 2015. Abbiamo parlato di letteratura, in particolare di romanzi aventi ad oggetto il racconto degli umili e del lavoro: Italo era fatto così; amava le persone attive, chi si impegna tutti i giorni e fa, invece di promettere e rimandare.
Fu in quell'occasione che mi regalò il primo libro, con una dedica e un augurio per il mio percorso artistico.
Le sue giornate iniziavano presto, alle sei era possibile vederlo passeggiare nei pressi del suo open air museum: poco prima di cominciare a dipingere era solito girare per i campi, non credo per trovare l'ispirazione, quanto per il suo amore incondizionato per la natura e il duro lavoro. Ovviamente d'estate, dal momento che gli inverni li trascorreva nel suo studio pratese, città in cui sono presenti molte sue opere.
Ormai era da tempo che aveva smesso, a causa di seri problemi di salute.
Il mio percorso artistico (perché parlavamo di poesia, narrativa e pittura come arti, senza inutili distinguo) è iniziato proprio quell'anno. Molte poesie che ho scritto in quel periodo si ispirano ai versi di Luzi, grande amico del pittore elbano.
Non voglio dilungarmi eccessivamente sulle preziose memorie personali, nelle quali è sempre presente Alessandra Ribaldone, che ha dato un fondamentale contributo alla riuscita delle mostre, frutto di un sogno comune e condiviso; non è neppure il momento di una rassegna dei suoi cicli pittorici: però spero che gli elbani organizzino in suo ricordo una retrospettiva (di sicuro l'Arthotel di Marciana Marina ha in cantiere qualcosa per il prossimo anno). Si meritava maggiore considerazione dalla sua gente: mi aveva più volte manifestato il suo disappunto (non voglio tacerne, perché sarebbe da ipocriti), e il timore che le sue ceramiche, il suo museo andassero perduti con la sua morte, perché non aveva trovato nessuno che fosse disposto a prendersi cura di quel luogo speciale, rimasto nei cuori di molti, appassionati d'arte del posto e di altrettanti 'foresti' (come si dice qui),  dopo di lui. Spero vivamente che si sbagliasse e che venga smentito: sta ai portoferraiesi tenere viva la sua eredità spirituale. Sono molti gli artisti elbani a sentirsi umanamente legati a Bolano, che ha insegnato a generazioni di studenti e ha sempre dialogato con tutti, dimostrando sincera passione per il mestiere che aveva scelto di intraprendere e grande disponibilità al confronto. Un artista di grande valore, stimato inconsciamente anche dai più giovani, che si ritraggono spesso nei loro selfie mentre danno le spalle alla ceramica installata nella piazza di Capoliveri: probabilmente senza conoscerne l'autore. Questa spontaneità è segno di un apprezzamento genuino della bellezza delle opere disseminate in tutti i comuni della sua amata isola, e della connessione sentimentale dell'autore con la sua terra e con il blu espressa in ogni suo lavoro.

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