sabato 18 gennaio 2025

Lo straniero

Albert Camus, Lo straniero, 1942 

Da ultimo, ricordo solo che dalla strada e per l’intero spazio delle sale e delle aule, mentre il mio avvocato continuava a parlare, è risuonata fino a me la tromba di un venditore di gelati. Mi sono sentito assalire dai ricordi di una vita che non mi apparteneva più, ma in cui avevo trovato le mie gioie più povere e più tenaci: odori d’estate, il quartiere che amavo, un certo cielo di sera, il sorriso e i vestiti di Marie.
[…]
il suo cuore è cieco. Pregherò per lei.
Allora, non so perché, dentro di me è scoppiato qualcosa. Ho cominciato a gridare a squarciagola e  l’ho insultato e gli ho detto di non pregare. L’avevo preso per il bavero della tonaca. gli rovesciavo addosso tutto quello che avevo nel cuore, conati in cui si mischiavano gioia e collera. Sembrava così sicuro, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era neanche sicuro di essere vivo, perché viveva come un morto. Certo, io sembravo a mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e della morte che mi aspettava. Non avevo altro. […] Era come se avessi aspettato tutta la vita per quel minuto, quell’alba, che mi avrebbero giustificato. Niente, assolutamente niente aveva importanza.


Albert Camus, Lo straniero, Bompiani, Milano, 2017, traduzione di Sergio Claudio Perroni, pagine 136, 154-155.

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