giovedì 16 settembre 2021

Il bombardamento tedesco di Portoferraio

Oggi noi portoferraiesi (rectius, noi elbani) dobbiamo commemorare la pagina più triste della nostra storia: settantotto anni fa la città veniva bombardata dai nazisti. Morirono più di trecento persone, rimaste senza nome perché polverizzate dalle bombe da 500 kg e da una tonnellata l'una, o perché finite tra i flutti del mare. Gran parte del patrimonio architettonico di Portoferraio andò distrutto, come le case dei nostri nonni, sfollati nella Valle di Lazzaro. Non dovrebbe neppure mancare il ricordo dell'affondamento, ad opera degli inglesi (che credevano fosse una nave da guerra tedesca), del piroscafo Sgarallino, causando la perdita di altre trecento vite o più. Ogni famiglia elbana ha perso almeno un proprio caro in uno di questi episodi. 
Il 19 Marzo del 1944 la città è stata oggetto di un successivo bombardamento nel quale persero la vita 60 persone, molti restarono mutilati; anche in quell'occasione innumerevoli monumenti vennero distrutti irrimediabilmente. Sono le immagini che caratterizzano ogni guerra, del passato e del presente. Spesso siamo privi di empatia nei confronti di chi subisce queste devastazioni, perché non abbiamo memoria storica e non abbiamo più la percezione della facilità con cui si può perdere tutto.
In questi giorni è utile leggere alcune poesie di Giorgio Caproni, una in particolare: "Tutto".
La lirica è perfettamente in grado di esprimere il senso di smarrimento e sgomento che l'autore ha provato dinanzi alla violenza della guerra. Anche se il titolo sembrerebbe suggerire il contrario, l'immagine che ci propone il poeta è il vuoto, la distruzione, le rovine fumanti: non è rimasto niente, neppure la gente, che è dispersa. La perdita è totale. È la fine della civiltà.
Il linguaggio poetico di Caproni è terso, immediato e liquido: non cerca di incorporare nei versi la realtà, che è magmatica, sfuggente e non si lascia catturare.
Uno stile di rara bellezza e musicalità, da ammirare e riscoprire.

TUTTO

Hanno bruciato tutto.
La chiesa. La scuola.
Il municipio.

Tutto.

Anche l’erba.

Anche,
col camposanto, il fumo
tenero della ciminiera
della fornace.

Illesa,
albeggia sola la rena
e l’acqua: l’acqua che trema
alla mia voce, e specchia
lo squallore d’un grido
senza sorgente.

La gente
non sai più dove sia.

Bruciata anche l’osteria.
Anche la corriera.

Tutto.

Non resta nemmeno il lutto,
nel grigio, ad aspettar la sola
(inesistente) parola.

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