giovedì 30 luglio 2020

Alessandro Barbero: Le origini del 'mito'

Ho 'conosciuto' Alessandro Barbero negli anni del liceo, quando ho acquistato "Dietro le quinte della Storia. La vita quotidiana attraverso il tempo", scritto a quattro mani con Piero Angela, col quale collaborava da anni a Superquark.
Studiando diritto agroalimentare mi sono tornate alla mente le riflessioni sull'importanza della storia del cibo contenute nel saggio, che ad avviso di chi scrive rappresenta una sorta di manifesto programmatico dei linguaggi della divulgazione storica.
Se si vuole capire quale sia l'approccio seguito da Barbero la lettura del testo si rivela utilissima, trovando poi quelle pagine e quegli argomenti discussi con Angela ulteriori occasioni di approfondimento nei podcast, nei convegni e nelle interviste degli anni successivi.

Le ragioni di un simile successo sono plurime.
In primis lo stile, proprio anche dei testi scritti: chiaro e semplice ma non banale. Per divertire il lettore e incuriosire lo spettatore Barbero richiama episodi di dettaglio, si avvale dell'aneddotica e di altri strumenti tipici dei romanzi storici, di cui non a caso è autore. Ha insomma le doti tipiche di un narratore.
La sua preparazione trasuda da tutto quello che fa, ma sono la passione e il fervore con cui propugna le proprie tesi, sorrette da una curata bibliografia, a convincere l'interlocutore.
Il professore mantiene sempre elevata la soglia dell'attenzione, sa tenere incollati allo schermo (della tv, dello smartphone) per ore, sa modulare la propria voce e accompagnare i gesti alle parole con capacità istrioniche invidiabili.
È impossibile restare indifferenti alle sue lezioni. È uno studioso che suscita emozioni forti: di solito ammirazione, ma non mancano voci dissonanti, fuori dal coro.

Chi lo critica confonde spesso due piani, quello della ricerca accademica e l'attività di diffusione delle conoscenze. È ovvio che il professore debba adattarsi al contesto e all'uditorio di riferimento, tenendo diversamente il proprio discorso, scegliendo le parole più opportune e consone al contesto. Non ha senso rivolgersi al pubblico di una trasmissione radiofonica nazionale generalista come se si trattasse di studenti universitari o di cultori della materia.

Ancora oggi si guarda con sospetto a professori che intraprendono la strada della notorietà, un peccato imperdonabile. Si pensi a Umberto Eco e alle 50 milioni di copie vendute con Il nome della rosa: c'è chi gli muove ancora oggi quest'accusa, mal celando l'invidia. Se si è intimamente convinti che lo studioso non debba coltivare ambizioni di questo tipo, non si dovrebbe provare astio nei confronti di chi la pensa (e di conseguenza agisce) diversamente. 
Barbero merita la stima del suo pubblico, che nulla toglie a chi preferisce restare nell'ombra o non riesce a uscirne. 
Mi stupisce che si consideri problematica la presenza pubblica di un professionista e non la diffusione sistematica di bufale, notizie false e teorie del complotto. Sarebbe opportuno rivolgere la propria rabbia verso coloro che usano il proprio status di personaggio pubblico per scrivere e dire panzane: abbondano e producono danni.

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