sabato 31 agosto 2024

Uno, nessuno e centomila

Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1925

Fu un attimo, ma l’eternità. Vi sentii dentro tutto lo sgomento delle necessità cieche, delle cose che non si possono mutare: la prigione del tempo; il nascere ora, e non prima e non poi; il nome e il corpo che ci è dato; la catena delle cause; il seme gettato da quell’uomo: mio padre senza volerlo; il mio venire al mondo, da quel seme; involontario frutto di quell’uomo; legato a quel ramo, espresso da quelle radici.


Non conclude, articolo di rivista del 1909.

Concludere! Tra tutti i bisogni che premono e affliggono l’umanità questo è senza dubbio il più triste e il più vano. Negli affari, in ogni impresa, piccola o grande che sia, in politica, nelle scienze, nelle arti, nell’amore, nell’odio, in tutte le passioni onde l’uomo è agitato […] deve concludere per forza, non si dà requie se non conclude, o se almeno non crede d’aver concluso. 
Che cosa?
Nulla. 
Se n’accorge sempre poco dopo. Compiuta la fatica, tratto un sospiro di sollievo e di soddisfazione, lì per lì si sente apposto. […] il riconoscimento più forte di non aver concluso nulla avviene quando, astraendoci dalle contingenze effimere, dalle brighe quotidiane, dalle passioni, dai desideri, dai doveri che ci siamo imposti, dalle abitudini che ci siamo tracciate, abbattiamo i limiti illusorii della nostra coscienza presente, allarghiamo i confini della nostra abituale visione della vita, ci solleviamo spassionati a contemplare e a considerare da una altezza tragica e solenne la natura. […] la natura, nella sua eternità, non conclude. E noi che siamo in lei, che siamo lei stessa, ma che per alcun tempo ci siamo visti come e considerati come parti […] staccate e distinte, quando s’approssima il momento di rientrare e di perderci in essa, nella sua eternità, riconosciamo vana, illusoria, arbitraria ogni conclusione nostra, riconosciamo che veramente non concludiamo nulla.

Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Einaudi, Torino, 2014.

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