sabato 16 febbraio 2013

Piccolo mondo antico (2)

Nel commentare questo romanzo ho intenzione di fare riferimento ad un saggio critico autorevole che Benedetto Croce scrisse nel 1903, contenuto nella rivista “La letteratura della nuova Italia”. Partirò dunque da una considerazione del Croce, che nota come Piccolo mondo antico sia al contempo un'opera “scandalosa” e di alto contenuto morale. Croce parla letteralmente “di un Manzoni che si è fuso col Tommaseo”.
Croce considera l'opera scandalosa nella misura in cui Luisa giunge al misoteismo: dopo la morte della figlia Maria crede fermamente nella malignità di Dio; in un secondo momento ne nega semplicemente l’esistenza. In realtà ben prima di questo episodio traumatico covava nell’animo e nel cuore un forte scetticismo: al professor Gilardoni aveva confidato da tempo di essere una miscredente e di non nutrire forti perplessità sull'idea dell'eternità dell'anima. Il Gilardoni a suo modo la consola: anche chi non crede in un mondo trascendente vive seguendo dei principi sommi di Giustizia.  Luisa è un alter ego del Fogazzaro, che, educato secondo principi cristiani, aveva in seguito rinnegato Dio, per poi riavvicinarsi alla fede, con più consapevolezza. Fogazzaro non critica l’empietà di Luisa, sembra compiacersene.
Franco compie un percorso di crescita personale, come il Renzo de “I Promessi Sposi”. Croce paragona  Luisa e Franco a Fra’ Cristoforo: Luisa incarna il forte senso di Giustizia del frate, Franco la religiosità. È uno sdoppiamento fortemente voluto dall’Autore, che ha anche ripreso in versione comica la notte tormentata di Don Rodrigo appestato: la contessa Maironi sogna la nipote morta che la condanna, pensa di essere prossima alla morte, si pente, ma quando realizza che vivrà per altri decenni invece di scusarsi con i due sposi perdona Franco e, a malincuore, Luisa. È forse una delle scene più riuscite all’interno del romanzo: durante questa “notte della Marchesa Maironi” le sensazioni della marchesa e le sue reazioni sono una chiara allusione ironica alla più nota “notte di don Rodrigo”. Avevo pensato a questa e a tante altre analogie prima di leggere il testo critico del Croce: segno evidente che Fogazzaro ha fatto di tutto per farcele notare. 
Luigi Russo celebra la grandiosità di uno scrittore che è riuscito a descrivere benissimo sentimento religioso e morte nel racconto della disgrazia della piccola Maria. La bambina muore affogata nel tentativo di verificare se la sua barchetta di ferro (piccolo modellino regalatole dalla “sciora Barborìn”) potesse galleggiare. Estremamente catartica la scena della madre che saluta con un lungo abbraccio la figlia morta, volendo persuadersi che sia ancora viva o che comunque la raggiungerà presto.
Il racconto mi ha coinvolto non solo grazie a quest’intreccio di eventi straordinari, ma anche per l’uso del dialetto che rende più credibili, realisti e familiari tutti gli episodi. Come nota il Devoto, è forse un segnale di evasione rispetto al canone narrativo del tempo, che imponeva di risolvere il problema della lingua contribuendo a rendere “nazionale” quella scelta dal Manzoni con opere illustri ed esemplari. Elemento di evasione, ma anche di semplice realismo già presente in Verga. Inoltre, l’autore ha voluto rievocare la memoria del padre morto, rappresentato da Franco, e di tutto un piccolo mondo antico caro al poeta per i suoi ricordi infantili: il dialetto esprime la nostalgia verso una piccola realtà locale quasi fuori dallo spazio (piccolo mondo) e dal tempo (antico).

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