Ormai ho smesso di chiedermi cosa debba fare per vendere di più. All'inizio me la prendevo molto, poi ho capito che me ne devo fregare di cosa va di moda e piace al mercato editoriale: ho pubblicato dei libri che piacciono a me e con i quali ho cercato di fare letteratura, riversando anni di letture e sperimentazioni stilistiche e formali. La cultura, l'arte, il libro non possono essere ridotti ad un prodotto commerciale qualsiasi, nonostante il mondo del libro sia vincolato all'idea del successo e dei profitti; interessa l'autore e non ciò che ha scritto.
Quello che conta invece è creare qualcosa di originale ed elitario, non per un pubblico di predestinati, ma di amanti della letteratura e della complessità. Se a qualcuno non va bene e pretende di fare scuola con prodotti spazzatura, a me non interessa. Poi, certo, ci rimango male se il pubblico non accetta le sfide e diventa coprofago, ma non è più un problema mio.
Vengono proposti e pubblicati talmente tanti libri che promuoverli diventa l'imperativo categorico seguito da quasi tutti. Io sarei anche disposto ad usare social e tv per veicolare i miei messaggi, ma il mio scopo è solo diffondere ciò che scrivo, quindi il mezzo non deve incidere sul fine, come spesso accade, purtroppo, a causa dei rapporti di convenienza e di una serie di meccanismi da sempre esistenti: è proprio la natura dell'uomo a fare schifo.
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