Quid tibi vitandum praecipue existimes quaeris? Turbam.
Nondum illi tuto committeris.
Ego certe confitebor inbecillitatem meam: numquam mores quos extuli refero; aliquid ex eo quod composui turbatur, aliquid ex iis quae fugavi redit.
Quod aegris evenit quos longa inbecillitas usque eo adfecit ut nusquam sine offensa proferantur, hoc accidit nobis quorum animi ex longo morbo reficiuntur.
Inimica est multorum conversatio: nemo non aliquod nobis vitium aut commendat aut inprimit aut nescientibus adlinit.
Utique quo maior est populus cui miscemur, hoc periculi plus est.
Nihil vero tam damnosum bonis moribus quam in aliquo spectaculo desidere; tunc enim per voluptatem facilius vitia subrepunt.
Epistulae ad Lucilium I,7,1-2
Mi chiedi che cosa tu debba specialmente evitare. Rispondo: la folla.
Non puoi ancora affidarti ad essa senza pericolo.
Ti confesserò questa mia debolezza: non torno mai a casa quale ne ero uscito; qualcosa si turba di quell’ordine che avevo posto nel mio spirito, e riappare qualche difetto di cui mi ero liberato.
Ciò che capita a coloro che, per essere stati a lungo ammalati, sono così deboli da non potersi più muovere senza danno, capita anche al mio spirito, che si sta rimettendo dopo una lunga malattia.
La compagnia della moltitudine è dannosa: c’è sempre qualcuno che ci rende gradevole un vizio o, senza che ce ne accorgiamo, ce lo trasmette in tutto o in parte.
Più sono le persone con cui viviamo, maggiore è il pericolo.
Nulla è tanto nocivo ai buoni costumi quanto assistere oziosi a certi spettacoli. Allora, infatti, mediante le attrattive del piacere, i vizi si insinuano più facilmente.
Seneca, Lettere a Lucilio, pagina 79.
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