mercoledì 16 agosto 2023

La miseria e il delitto

Ritratto dell'avvocato Pietro Gori realizzato da Plinio Nomellini, conservato nella Pinacoteca Foresiana di Portoferraio. Foto di Roberto Ridi tratta dal sito del Sistema Museale dell'Arcipelago Toscano.

Pietro Gori ha discusso la tesi di laurea “La miseria e il delitto” il 15 giugno 1889. In quegli anni nel suo cuore si era conficcato il germe anarchico, subito dopo aver appreso la notizia della morte di un giovanissimo minatore di Capoliveri nella Vigilia di Natale del 1885. La novella Rosso Malpelo di Giovanni Verga ci ricorda che persino i bambini erano costretti a lavorare quattordici ore al giorno; gli incidenti fatali erano tutt'altro che rari. La strage di Marcinelle di sessantasette anni fa ne è triste conferma. 
Gori intende ricercare il nesso sussistente tra la miseria e i delitti.

“La società – afferma Quételet – prepara il delitto: il delinquente non fa che seguirlo. [1] 
«Non è a dire – insegna l’illustre Gabba dalla cattedra di Pisa – che la civiltà si misuri dalla ricchezza, ma non [ci] può essere civiltà nella miseria». [2] […] le classi dei lavoratori […] formano, per usare una vecchia metafora, la base della piramide sociale, la quale piramide è agevole comprendere come nella base stessa debba cercare il più valido sostegno della sua sicurezza.

Gli studi statistici conducono Gori alla conclusione “se non assoluta, certo abbastanza sicura intorno alle relazioni strettissime tra le miserevoli condizioni economiche di un popolo e la maggiore attività criminosa […] Il bisogno di sussistenza (lo nota anche Enrico Ferri) è il diretto e quasi unico movente dei reati contro la proprietà; nei reati contro le persone invece un complesso vertiginoso di cause psichiche, organiche e sociali intervengono, le quali possono elidere il contributo criminoso di una nutrizione meno scarsa e meno avara”.[3]

Pietro Gori era convinto che, una volta superata la miseria, seguendo il modello offerto dalla colonia di New Lanark, il delitto si sarebbe sicuramente ridotto ai minimi termini.
Il nucleo centrale del pensiero alla base della sociologia criminale non è diverso da quello del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach.  
Il famoso aforisma “l’uomo è ciò che mangia”, frainteso dai più, come avviene solitamente per le frasi estrapolate dal contesto in cui sono state formulate originariamente, esprime una concezione influenzata dalle correnti scientifiche e materialiste che si andavano diffondendo nell’Ottocento, vale a dire dall’intima convinzione che le caratteristiche morali, etiche e spirituali degli individui dipendessero essenzialmente dalle condizioni materiali di vita. Si tratta di una concezione scientifica superata dallo sviluppo della fisica quantistica agli inizi del Novecento.

Negli stessi mesi in cui sta redigendo la tesi di laurea e sostenendo gli ultimi esami, Gori pubblica, sempre a Pisa, utilizzando lo pseudonimo Rigo, un pamphlet contenente i testi delle sue conferenze politiche, Pensieri Ribelli. Il 12 maggio 1889 ne viene ordinato il sequestro e al processo, che il 20 novembre dello stesso anno arriva già alla fase dibattimentale, dinanzi al Tribunale di Pisa, viene difeso in giudizio da uno stuolo di avvocati, tra i quali primeggia per fama ed intelletto Enrico Ferri, allievo di Cesare Lombroso, citato più volte da Gori stesso.

Non è peregrino pensare che Gori abbia tratto ispirazione dai  romanzi Germinal e da Il Ventre di Parigi di Emile Zola, che ebbe la fortuna di incontrare in Svizzera.

Più tardi Edwin Sutherland si sarebbe occupato della criminalità dei colletti bianchi (corruzione, crimini economici e societari, comportamenti fraudolenti), spesso non repressa adeguatamente dal legislatore, perché non percepita come foriera di pericoli per la società, nonostante in realtà sia massimamente dannosa, incidendo sul tessuto economico dei paesi.

Durante il soggiorno argentino fonda la rivista Criminologia moderna e invita a collaborare autori politicamente distanti dagli ideali anarchici, come i socialisti Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Guglielmo Ferrero (più vicino al parlamentarismo di Turati), dimostrando una apertura al dialogo assai rara nel contesto contemporaneo. 

[1] Quetelet L.A.J, Phisique sociale, ou Essai sur le développement des facultés de l’homme, Bruxelles, C. Muquardt; Paris, J.B. Bailliere; Saint Petersbourg, J. Issakoff, 1869, 2 voll.
[2] C.F. Gabba, Dalle lezioni di filosofia del diritto, anno accademico 1888-89.
[3] A. Herzen, Phisiologie de la volonté. Ultima parte del libro. Vedi anche la relazione sulla colonia di New-Lanark nella raccolta delle opere di Romagnosi fatta dal De Giorgi.

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